Doppio delay nello stile di David Gilmour

RTL BBC | GIAMPAOLO NOTO

Il doppio delay parallelo nello stile di David Gilmour

Quando si parla del suono di David Gilmour, il delay occupa un posto centrale.
Non è solo un effetto che “allunga” le note: nelle mani di Gilmour diventa parte integrante del suo stile, uno strumento per creare atmosfera, profondità e dinamica.

Tra le tecniche che più lo caratterizzano troviamo l’uso di due delay configurati in parallelo, un approccio che ha contribuito a definire la sua inconfondibile spazialità sonora.
Gilmour stesso ha più volte dichiarato di aver utilizzato sia in studio sia live una configurazione con due delay, uno in 3/4 e uno in 4/4.

Due delay per un eco “vintage”

La configurazione in parallelo è fondamentale: in questo modo entrambi i delay ricevono il segnale “pulito” della chitarra e lavorano in maniera indipendente, senza moltiplicare le ripetizioni l’uno dell’altro. È proprio questo che mantiene il suono chiaro, tridimensionale e musicale.

doppio delay parallelo

Gilmour ha spesso utilizzato due delay impostati a 380 ms e 507 ms, con entrambi i pedali (o linee di delay) collegati in parallelo.

La scelta dei tempi di ritando non è casuale: i due tempi generano un particolare effetto ritmico a terzine (triplet), diverso dal più comune “ottavo puntato” che molti chitarristi associano al delay nello stile U2 o al sound moderno.

Il risultato è un eco ricco e pulsante, che avvolge le note senza mai confonderle, capace di evocare la stessa magia delle unità a nastro come il celebre Binson Echorec che Gilmour usava negli anni d’oro dei Pink Floyd.

Come si arriva a 507 ms partendo da 380 ms

Il rapporto tra i due delay non è arbitrario, ma matematico. Ecco il procedimento:

  1. Consideriamo 380 ms come il valore della terzina (3/4).
  2. Dividiamo 380 per 3 → 126,7 ms (la durata di un “terzo”).
  3. Moltiplichiamo 126,7 × 4 → 506,8 ms, che arrotondiamo a 507 ms.

In altre parole, se 380 ms corrisponde a un tempo basato su terzine, il valore di 507 ms rappresenta il corrispondente tempo in 4/4.

È proprio questa relazione a generare il “triplet feel” così tipico di Gilmour: le due code di delay si intrecciano ritmicamente senza mai sovrapporsi in modo confuso.

Sperimentare con altre combinazioni

La bellezza della configurazione a doppio delay è che non esiste un solo modo di usarla.

Il classico 380 + 507 ms è la base per ottenere il “triplet feel” gilmouriano, ma si possono esplorare molte altre combinazioni per avvicinarti al comportamento di un echo multi-head.

Ad esempio con un 380 + 760 ms il secondo delay raddoppia le terzine, per ottenere un’eco più ampia e ciclica.
Oppure un 380 + 285 ms ricorda una combinazione di testine dell’Echorec, con pattern ritmici più serrati e complessi.

Si può poi uscire dal valore primario di 380 ms per sperimentare partendo da un delay principale diverso ma sempre nello stile Gilmour, come ad esempio il 440 ms.

In questo caso avremmo un 440 + 587 ms per avere un “triplet feel” oppure un 440 + 880 ms con il secondo delay che raddoppia le terzine.

Le variazioni possibili sono tantissime in base al tempo di ritardo del delay principale e al tipo di “effetto” che si vuole ottenere: in questo modo il doppio delay si trasforma in un laboratorio creativo.

Configurazione Delay 1 Delay 2 Feedback Mix
Base Triplet 380 ms 507 ms 3-4 / 2-3 30% / 10%
Double Triplets 380 ms 760 ms 3-4 / 2-3 30% / 10%
Echorec Style 380 ms 285 ms 3-4 / 2-3 30% / 10%

Conclusione

Quando si utilizzano due delay in parallelo è fondamentale regolare i livelli di mix in modo diverso: ci sarà sempre un delay principale più presente e un delay secondario con un volume sensibilmente più basso (in genere circa un terzo del principale), così da mantenere chiarezza e profondità senza confondere il fraseggio.

Il doppio delay a 380 ms e 507 ms, in configurazione parallela, è una configurazione molto interessante del suono di David Gilmour.

Non si tratta soltanto di imitare un settaggio, ma di comprendere una filosofia: usare gli effetti per creare emozione, trasformando ogni nota in un’esperienza sonora che va oltre la chitarra stessa.

Il suono di David Gilmour: la filosofia oltre i pedali

Dopo anni passati a studiare il suono di David Gilmour, a testare pedali e configurazioni, e a rispondere alle domande di chi cerca di replicare quel timbro unico, sento la necessità di affrontare l’argomento da una prospettiva diversa.

Limitarsi alla tecnica rischia di farci perdere l’essenza, per questo voglio affrontare la questione (o almeno tentare di farlo) da un punto di vista diverso: più filosofico, più vicino a ciò che realmente fa la differenza tra un suono “simile a Gilmour” e il Gilmour sound.

David Gilmour - Luck and Strange Setup

La mano prima degli effetti

Il primo inganno è pensare che basti comprare i pedali giusti.
Ho visto tanti chitarristi collegarsi a un Big Muff, aspettandosi di ritrovare la stessa magia di Comfortably Numb. Invece il risultato spesso delude. Perché?

Perchè la mano viene prima degli effetti.

Gilmour usa un vibrato ampio, lento e controllato, quasi vocale. Non è un orpello tecnico: è la sua firma emotiva.
La sua dinamica è sempre calibrata: basta osservare un live per notare come un semplice bending possa avere intensità o dolcezza a seconda di come colpisce la corda.
Ogni nota è intenzionale. Non esiste “riempire lo spazio” con scale veloci: ogni frase è pensata per “cantare”.

Se collegassimo la sua Black Strat a un amplificatore spoglio, senza alcun pedale, riconosceremmo comunque che sta suonando lui.

Minimalismo e spazio: l’arte di non suonare

C’è un’altra lezione enorme che Gilmour ci da: il valore del silenzio.
Nel mondo della chitarra elettrica, spesso si tende a riempire: note, scale, velocità. Lui no.

Prendiamo la prima parte di Shine On You Crazy Diamond: poche note, quasi sospese, ma sufficienti a evocare un universo intero. Oppure certi passaggi in High Hopes, dove la tensione nasce proprio dall’attesa tra una frase e l’altra.

Il minimalismo di Gilmour non è povertà: è disciplina. Ogni nota ha uno scopo, ogni pausa dà respiro. È un approccio che rende la musica accessibile, umana, emotiva.

David Gilmour - Luck and Strange Setup

Effetti come estensione della musica

Non fraintendiamoci: gli effetti sono fondamentali nel Gilmour sound. Ma non sono il cuore. Sono strumenti al servizio di un’idea musicale.

Il delay, ad esempio, non è mai solo eco. In Run Like Hell diventa ritmo pulsante, quasi una seconda chitarra che dialoga con lui.
Il compressore non è solo sustain: è il collante che rende il suono consistente e presente nel mix, sia in studio che live.
Le modulazioni (chorus, phaser, flanger) non sono un abbellimento: creano profondità, spazialità e movimento, trasformando una linea semplice in un paesaggio sonoro.

I suoi setup e le sua pedalboard sono famosi, certo. Ma più che un arsenale tecnico è una tavolozza di colori: non serve a modificare il suono ma a esprimere emozioni.

Emozione prima della tecnica

Il punto più alto del discorso è forse questo: Gilmour non suona per stupire, ma per comunicare emozioni.
L’assolo di Comfortably Numb è l’esempio perfetto. Non ci troviamo scale esotiche o velocità vertiginose: ci troviamo un crescendo emotivo che accompagna l’ascoltatore dentro la canzone, fino alla catarsi finale.

Per questo, anche con la stessa attrezzatura, raramente si riesce a “suonare come lui”: non è questione di gear, ma di intenzione.

David Gilmour - Luck and Strange Setup

Una lezione per tutti

Studiare pedali, setup e amplificatori è giusto e utile. Ma se ci fermiamo lì, rischiamo di perdere la vera lezione di David Gilmour:

  • Il suono nasce dalle mani, dal tocco e dal controllo.
  • La musica cresce nello spazio, non nella frenesia.
  • Gli effetti sono strumenti espressivi, non trucchi.
  • La chitarra è un mezzo per trasmettere emozioni autentiche, non per mostrare abilità fine a sé stessa.

Ed è proprio questa combinazione — la maestria tecnica unita a una profonda sensibilità musicale — che rende il suono di David Gilmour così unico e riconoscibile. Non si tratta di raggiungere una perfezione meccanica o di accumulare pedali e attrezzature sofisticate, ma di coltivare un rapporto intimo e sincero con la propria chitarra, di saper ascoltare il silenzio tra le note e di usare ogni effetto come un mezzo per esprimere qualcosa di autentico e personale.

Per ogni chitarrista, la vera sfida non è semplicemente “suonare come Gilmour”, ma imparare da lui a trasformare il proprio strumento in una voce capace di raccontare storie, emozioni e sensazioni uniche, portando così la propria musica a un livello più profondo e significativo.