Dopo anni passati a studiare il suono di David Gilmour, a testare pedali e configurazioni, e a rispondere alle domande di chi cerca di replicare quel timbro unico, sento la necessità di affrontare l’argomento da una prospettiva diversa.
Limitarsi alla tecnica rischia di farci perdere l’essenza, per questo voglio affrontare la questione (o almeno tentare di farlo) da un punto di vista diverso: più filosofico, più vicino a ciò che realmente fa la differenza tra un suono “simile a Gilmour” e il Gilmour sound.
La mano prima degli effetti
Il primo inganno è pensare che basti comprare i pedali giusti.
Ho visto tanti chitarristi collegarsi a un Big Muff, aspettandosi di ritrovare la stessa magia di Comfortably Numb. Invece il risultato spesso delude. Perché?
Perchè la mano viene prima degli effetti.
Gilmour usa un vibrato ampio, lento e controllato, quasi vocale. Non è un orpello tecnico: è la sua firma emotiva.
La sua dinamica è sempre calibrata: basta osservare un live per notare come un semplice bending possa avere intensità o dolcezza a seconda di come colpisce la corda.
Ogni nota è intenzionale. Non esiste “riempire lo spazio” con scale veloci: ogni frase è pensata per “cantare”.
Se collegassimo la sua Black Strat a un amplificatore spoglio, senza alcun pedale, riconosceremmo comunque che sta suonando lui.
Minimalismo e spazio: l’arte di non suonare
C’è un’altra lezione enorme che Gilmour ci da: il valore del silenzio.
Nel mondo della chitarra elettrica, spesso si tende a riempire: note, scale, velocità. Lui no.
Prendiamo la prima parte di Shine On You Crazy Diamond: poche note, quasi sospese, ma sufficienti a evocare un universo intero. Oppure certi passaggi in High Hopes, dove la tensione nasce proprio dall’attesa tra una frase e l’altra.
Il minimalismo di Gilmour non è povertà: è disciplina. Ogni nota ha uno scopo, ogni pausa dà respiro. È un approccio che rende la musica accessibile, umana, emotiva.
Effetti come estensione della musica
Non fraintendiamoci: gli effetti sono fondamentali nel Gilmour sound. Ma non sono il cuore. Sono strumenti al servizio di un’idea musicale.
Il delay, ad esempio, non è mai solo eco. In Run Like Hell diventa ritmo pulsante, quasi una seconda chitarra che dialoga con lui.
Il compressore non è solo sustain: è il collante che rende il suono consistente e presente nel mix, sia in studio che live.
Le modulazioni (chorus, phaser, flanger) non sono un abbellimento: creano profondità, spazialità e movimento, trasformando una linea semplice in un paesaggio sonoro.
I suoi setup e le sua pedalboard sono famosi, certo. Ma più che un arsenale tecnico è una tavolozza di colori: non serve a modificare il suono ma a esprimere emozioni.
Emozione prima della tecnica
Il punto più alto del discorso è forse questo: Gilmour non suona per stupire, ma per comunicare emozioni.
L’assolo di Comfortably Numb è l’esempio perfetto. Non ci troviamo scale esotiche o velocità vertiginose: ci troviamo un crescendo emotivo che accompagna l’ascoltatore dentro la canzone, fino alla catarsi finale.
Per questo, anche con la stessa attrezzatura, raramente si riesce a “suonare come lui”: non è questione di gear, ma di intenzione.
Una lezione per tutti
Studiare pedali, setup e amplificatori è giusto e utile. Ma se ci fermiamo lì, rischiamo di perdere la vera lezione di David Gilmour:
- Il suono nasce dalle mani, dal tocco e dal controllo.
- La musica cresce nello spazio, non nella frenesia.
- Gli effetti sono strumenti espressivi, non trucchi.
- La chitarra è un mezzo per trasmettere emozioni autentiche, non per mostrare abilità fine a sé stessa.
Ed è proprio questa combinazione — la maestria tecnica unita a una profonda sensibilità musicale — che rende il suono di David Gilmour così unico e riconoscibile. Non si tratta di raggiungere una perfezione meccanica o di accumulare pedali e attrezzature sofisticate, ma di coltivare un rapporto intimo e sincero con la propria chitarra, di saper ascoltare il silenzio tra le note e di usare ogni effetto come un mezzo per esprimere qualcosa di autentico e personale.
Per ogni chitarrista, la vera sfida non è semplicemente “suonare come Gilmour”, ma imparare da lui a trasformare il proprio strumento in una voce capace di raccontare storie, emozioni e sensazioni uniche, portando così la propria musica a un livello più profondo e significativo.


